SELVAGGIA INDIMENTICABILE HAITI

NAVIGARE AD HAITI Il console italiano che avevamo incontrato durante la nostra sosta nella 'italianissima' Repubblica Doninicana, ci spiegò che il territorio di competenza dell'Ambasciata d'Italia che aveva sede nella città di Santo Domingo, aveva anche potere su varie piccole isole caraibiche come ad esempio la bella Antigua, e la famigerata Haiti. Quest'ultima sarebbe stata la nostra tappa successiva, così approffittamo del console per chiedere dal punto di vista sicurezza come fosse quel Paese. Nicoletta e io eravamo 'affamati' di notizie di prima mano su quel Paese che godeva di pessima reputazione riguardo democrazia e rispetto dei diritti umani. Il console, sorridendo sotto i baffi ben curati striati di grigio, ci disse che negli ultimi tempi le cose erano migliorate, 'le guardie del Presidente sono tutte russe e questo ha portato ad un miglioramento',disse allegramente, 'pensate che adesso ci muoviamo nella capitale Port au Prince, senza indossare il giubbotto antiproiettile'. Il console continuava a sorridere, mentre il volto di Nicoletta, seppur abbronzato, sbiancò di colpo e voltandosi a guardarmi, mi lanciò un'occhiata d'odio e terrore. Io evitai di ricambiare lo sguardo e mi affrettai a gettare acqua sul fuoco interrompedo educatamente il console che nel frattempo continuava a raccontare alcune terribili avventure di quella terra, domandandogli se nelle zone più lontane e meno popolate della capitale la vita scorresse più tranquilla. Con un solenne cenno del capo confermò che lontano dalla capitale vi erano piccoli villaggi dove regnava la calma e la pace da decenni. Anche lui ci confermò che lungo la costa sud occidentale aveva sentito parlare di un'isola incontaminata, di una bellezza struggente popolata da gente mite e cordiale. Ile a Vaches. E' proprio dove vogliamo andare noi, dissi in tono trionfante, contento dell'ennesimo punto positivo assegnato a quell'isola sconosciuta che dista poche miglia dalla costa di Haiti. Avevamo lasciato le acque Dominicane da qualche ora ed il vento che soffiava rabbioso ancor prima che il sole si levasse, non accennava a diminuire come speravamo. Il mare cominciava ad ingrossarsi ed alcuni schizzi di schiuma bianca erano atterrati sulla parte poppiera di JANCRIS. Poco più di centoventi miglia di mare aperto ci separavano dalla nostra meta. Avevamo vento e mare di poppa che ci spingevano veloci e tutto sommato non potevamo lamentarci. Certo, se avessimo avuto quindici nodi anzichè ventidue, saremmo stati più sereni, però il pilota automatico non lavorava molto, e la barca era stabile e dava sicurezza. La notte avanzò rapidamente come sempre ai tropici, avvolgendo nell'oscurità l'universo intorno a noi ancor prima che l'orologio di bordo segnasse le 18,15. Avremmo rivisto il sole esattamente dopo dodici interminabili ore di buio. Lo stretto spicchio di luna nuova ci tenne compagnia per nemmeno dieci minuti, facendo risplendere la sua luce fredda ma amichevole dalla superfice squassata del mare color ossidiana. Cenammo dopo appena mezzora, per ingannare il tempo e prevenire il torpore dato dall'oscurità e dal movimento del galoppo di JANCRIS su quella superficie sempre più agitata. Come sempre, quando avevamo solamente una notte di navigazione, Nicoletta e io non pianificavamo dei turni, saremmo rimasti entrambi in pozzetto a raccontarcela, e a guardarci intorno di tanto in tanto per scorgere improbabili luci di navigazione. In effetti quel tratto di mare era ben lontano dalle rotte commerciali e noi eravamo ad oltre cinquanta miglia di distanza dalla costa di Haiti. Quindi anche la possibile seccatura causata dalle barche da pesca locali, era scongiurata. Però, visto che grazie alla nostra buona abitudine di guardarci sempre intorno in qualsiasi mare del mondo ci trovassimo a navigare ci aveva fatto sempre raggiungere la meta, non ci balenò mai l'idea di navigare la notte dormendo senza che nessuno fosse fuori di guardia. Dopo la mezzanotte il vento calò assestandosi appena sotto i venti nodi, cosicchè la velocità diminuì, ma il comfort a bordo aumentò. Un'oretta prima dell'alba mancavano meno di venti miglia al way point finale. A quell'ora la notte si fa sempre più buia e fredda, ed io per complimentarmi della buona media tenuta fin lì, andai sotto coperta a prendere una gratificante tavoletta di buon cioccolato arricchito con mandorle intere comprata in Martinica che mi diede una piacevole scossa diffondendomi nel corpo nuova energia. L'alba diffuse la sua luce perlacea intorno a noi, per poi trasformare l'orizzonte a poppa di un colore rosa che lasciava presagire un'ennesima giornata soleggiata. Quando l'enorme globo di fuoco fece sentire la sua comparsa scaldandoci la schiena, il vento diminuì ulteriormente costringendoci a lavorare sulle vele srotolando per intero il fiocco, e togliendo la mano di terzaruoli alla randa di maestra. Appena finito il lavoro, prima di concederci una meritata ed abbondante colazione, scorgemmo a prua il dolce profilo delle basse colline di Ile a Vaches. Un paio di ore più tardi l'isola, che credevamo più piccola, sfilava poco lontano al nostro traverso protetta da un anello di barriera corallina che faceva ribollire il mare annullandone l'impeto distruttivo. Vedevamo chiaramente il tranquillo specchio d'acqua all'interno del reef. I colori di tutte le gradazioni del turchese e del verde acqua erano confinati da una lunghissima spiaggia di un bianco acciecante, mentre alle sue spalle la foresta smeraldo ricopriva il territorio ondulato senza soffocarlo, cedendo ampi spazi a distese erbose macchiate da pellicce di animali al pascolo. Era uno spettacolo notevole, che sprigionava armonia e serenità, tanto da disegnare sui nostri volti un sorriso di gioia che cancellò la stanchezza della movimentata nottata appena trascorsa. Dopo aver costeggiato l'isola per cinque miglia, virammo verso nord entrando nel ridosso che cancellò il moto ondoso ed il vento. Ammainate le vele procedemmo a motore per altre tre miglia. Quella parte sottovento non possedeva barriera corallina così incontrammo i primi villaggi di pescatori costituiti da capanne di legno con tetti di paglia addossate le une alle altre. Sulla riva, tirate in secco, lunghe canoe ricavate da enormi tronchi scavati e induriti con il fuoco, giacevano sulla morbida sabbia pronte per essere spinte in acqua e accompagnare i pescatori nei dintorni. Più al largo, decine di piccole vele triangolari regalavano un'immagine di festa ai nostri occhi occidentali, abituati ad associare la vela ad uno sport o un momento di relax, anzichè ad un mezzo di trasporto per lavorare, l'unico esistente su quell'isola. Alcune di queste canoe spinte da una rozza vela ci sfilarono a pochi metri di distanza, gli occupanti, uomini giovani che pescavano con una lenza a strascico, guardavano affascinati JANCRIS scivolare sull'acqua calma, e sbracciandosi salutavano il nostro passaggio mantenendo un largo sorriso che mostrava una dentatura bianchissima anche parecchio tempo dopo. L'ancoraggio visto sulla carta nautica decine di volte mentre programmavamo quella tappa, sembrava ben riparato da tutti i quadranti. Con grande soddisfazione, penetrando all'interno della grande baia che si apriva a nord ovest, ci rendemmo conto della grande protezione di cui godeva quello specchio d'acqua incassato tra due colline verdissime. All'interno della baia notammo un paio di yacht a vela ormeggiati e la cosa ci rilassò ulteriormente facendoci sentire più protetti dalla cmpagnia di altri coraggiosi velisti. Una volta calata l'àncora su meno di quattro metri di fondo e dopo aver spento il fido Perkins, il silenzio tornò a regnare nella baia. Osservando la terra intorno a noi, notammo nascoste dalle palme alcune casette di legno colorate, mentre sentieri di terra battuta si disperdevano verso l'interno dell'isola sparendo inghiottiti dalla lussureggiante vegetazione. Uccelli, tantissimi uccelli di tutti i colori volavano solitari o in piccoli stormi e affollavano in un continuo andirivieni il cielo sopra di noi, creando un'atmosfera allegra con evoluzioni straordinarie e cinguetii che potrei definire canzoni, tanto erano melodici. Nicoletta e io eravamo in piedi vicino all'albero di maestra intenti a riordinare la coperta dopo la lunga navigazione, chiudendo il copri randa e addugliando le varie drizze e scotte. Facevamo quel lavoro ripetuto mille altre volte come automi, lasciando che lo sguardo spaziasse intorno a noi alla ricerca di quel qualcosa che rendeva quel luogo così straordinario. C'era qualcosa di diverso in quell'isola lunga più di venti chilometri e abitata da molte centiania di persone, qualcosa che era evidente ma che noi non avevamo ancora colto. Da riva, intanto, alcune piccole canoe di legno si avvicinavano a JANCRIS spinte da ragazzini che utilizzavano steli di foglie di palma a mò di remi. Ogni canoa ospitava da quattro a sei bambini che ci abbordarono festosamente. 'Benvenuti a Ile a Vache' dissero tutti parlando francese, e ogniuno, cercando di non far rovesciare la stretta e instabile canoa, si alzò in piedi battendosi il petto nero e lucido, per presentarsi declamando con orgoglio il suo nome. I lineamenti del viso erano belli e regolari. I gradi occhi neri erano vigili e intelligenti e le labbra carnose e ben definite. Nicoletta dopo aver dichiarato i nostri nomi, scese sotto copera e subito risalì con una confezione di biscotti farciti al cioccolato distribuendone uno a testa. I piccoli sembrarono soddisfatti dell'approccio e poco dopo mollarono 'l'assedio' tornando da dov'erano venuti. Osservandoli distrattamente venni folgorato dall'ovvia verità che rendeva così diversa quell'isola da altri luoghi visti prima. 'Qui non esistono automobili, motorini, motori fuoribordo, generatori, nessun tipo di motore a scoppio', conclusi sorridendo felice. 'E' vero', rispose Nicoletta con gli occhi azzurri che le brillavano, 'dai, scendiamo a terra a vedere il villaggio' suggerì allegra. Calammo il tender in acqua e lasciammo il fuoribordo attaccato al pulpito di poppa per non infrangere quell'incantesimo. Una volta a terra alcuni giovani che erano intenti a chiaccherare all'ombra di un massiccio albero, vennero a darci una mano per trascinare il gommone sulla spiaggia. Si presentarono sorridenti, e si rimisero a parlare tra loro salutandoci. Passeggiando noammo l'ordine e la pulizia che regnava in quel povero villaggio immerso nelle palme. Imboccammi pio un viottolo di terra nuda e ne seguimmo la serpeggiante linea circondati da prati ed enormi alberi ai mango. D'un tratto giungemmo accanto ad un fabbricato diverso dalle belle piccole abitazioni viste fin lì. Un brusio di giovani voci allegre ci fece capire che ci trovavamo davanti al una scuola. Non so come, ma all'improvviso decine di bambini e ragazzi corsero fuori dal fabbricato e in un attimo ci ritrovammo circondati. Incuriositi e socevoli, educati e allegri, la scolaresca ci trascinò lungo il viottolo camminando con noi tempestandoci di domande. Camminammo una buona mezzora accompagnati da urla risa e corse sfrenate dei bimbi. Poi, a mano a mano che si proseguiva, i piccoli ci salutavano inoltrandosi nella foresta per tornare alle proprie case. Si era fatta l'ora di pranzo e la fame cominciava a farsi sentire, così prendemmo la via verso il mare. Di tanto in tanto incrociavamo giovani belle ragazze che tiravano una corda alla quale erano legati grossi e pelosi maiali, altre invece accompagnavano possenti mucche dal pelo lucido e dalle grandi corna. La natura aveva donato a quella gente tutto, clima mite, abbondanti piogge, terreno fertile e mare pescoso. Grazie all'isolamento non erano stati contagiati dalla 'civiltà dell'automobile', la loro aria era limpida e le loro stradine libere da pericoli e dall'asfalto. Si poteva udire ovunque il sussurro della natura senza rumori estranei. Stavamo legando la cimetta del gommone sulla bitta di poppa di JANCRIS, quando si avvicinarono in canoa due giovani sorridenti. Il solito rito di presenzazione battendosi il petto e dichiarando il proprio nome, dopodichè l'offerta di barattare il capellino con il frontino che portavo in testa, contro tre belle aragoste che saltavano di tanto in tanto sul fondo della loro canoa. Che bella cosa il baratto, pensai mentre porgevo loro il cappellino. Verso sera i ragazzini tornarono ad abbordarci con le loro canoe. Questa vola erano loro a donarci qualcosa. Manghi profumatissimi, banane dolci e cocchi freschi da bere vennero posati sul tek a poppa. Risero divertiti vedendo l'espressione d'incedulità dipinta sui nostri visi. Dopodichè ci salutarono pronunciando i nostri nomi in modo perfetto e si allontanarono urlando allegramente dalle loro canoe 'benvenuti a ile a vache'. Alfredo Giacon

Per informazioni: jancrisjancris@hotmail.com