AMAZZONIA ULTIMA FRONTIERA

AMAZZONIA ULTIMA FRONTIERA Il sole accecante che ci aveva viziato durante la nostra permanenza a Natal e Fortaleza era lontano a poppa. Anche l'aria secca dell'aliseo di sud est ci stava abbandonando per lasciare posto alla carezza umida del vento instabile che segnava in maniera inequivocabile il nostro ingresso nell'area amazzonica estesa quanto mezzo Mediterraneo. Le spesse nubi che fin dal primo mattino avevano invaso il turchese cielo sub equatoriale andavano addensandosi tra loro oscurando il sole che illuminava il mondo circostante di una luce lattiginosa. Il mare blu cobalto era diventato color smeraldo. Navigavamo da oltre ventiquattro ore e la nostra prima meta amazzonica era vicina. Dopo aver costeggiato per alcune ore la bianca e desrta spiaggia confinata tra mare e giungla individuammo il fiume di fango gettarsi in mare attraverso uno stretto e turbinoso estuario. Chiuse le vele accendemmo il motore e iniziammo la risalita del fiume che ci avrebbe condotto all'ormeggio vicino alla cittadina di Luis Correia. Nicoletta in piedi sopra al pulpito di prua cercava di individuare tra le acque limacciose i banchi di sabbia che arrivavano ad una profondità di mezzo metro e che sarebbero stati delle trappole micidiali per la chiglia di JANCRIS che sprofondava in acqua per due metri e venti. La piantina dell'estuario ed il miglio e mezzo da percorrere nel fiume Rio Parà, me l'aveva disegnata un amico navigatore brasiliano che incontrammo allo yacht club di Natal. 'Non dovete perdere un posto affascinante come Luis Correia e visitare il poco conosciuto stato del Piauì', disse in tono solenne mentre su un pezzo di carta strappato al blocco delle ordinazioni della bella cameriera del club, disegnava rapidamente le sponde del fiume serpeggiante e la rotta da seguire per evitare bassi fondali e isolotti di fango che la corrente modellava giornalmente variandone forma e posizione. Mentre mi consegnava il prezioso disegno mi fissò diritto negli occhi e disse 'fai molta attenzione alla marea, devi assolutamente entrare nel Rio Parà nel momento di stranca tra l'alta e la bassa marea altrimenti sono guai' concluse serio. In effetti la corrente del fiume è solita toccare punte di sei nodi e l'escursione delle sue acque tra bassa e alta è di quattro metri. Nicoletta a prua con una mano si teneva stretta allo strallo, mentre l'altra aveva il pollice rivolto verso l'alto, segno che la rotta andava bene. Dopo un paio di interminabili minuti in cui venimmo sballottati dalle disordinate e ripide onde all'imbocco dell'estuario, entrammo nelle acque placide del fiume al ridosso di una piccola e artigianale diga che porta il nome di barra do Iagara e che frenava l'impeto delle onde oceaniche. Il mio sguardo andava dalla piantina desegnata all'ecoscandaglio. Dalla velocità effettiva segnalata dal GPS, alle indicazioni che faceva a prua Nicoletta. I tempi del nostro arrivo davanti all'estuario furono perfetti e incontrammo una corrente a favore di 'solo' un nodo e mezzo e la marea al culmine. Il fiume non aveva argini e l'alta marea aveva invaso il territorio circostante allagandolo a perdta d'occhio. Dopo un'ansa scorgemmo due alberi di barche a vela svettare tra le cime degli alberi. Nicoletta si volse a guardarmi con un gran sorriso, contenta di essere in compagnia di altri navigatori tanto matti da addentrarsi in un posto come quello. Un precario molo in legno che sicuramente aveva visto tempi migliori, era occupato da una barca a vela in ferro color arancione alla quale ci fecero cenno di affiancarci. Io per evitare di avere il vento di poppa iniziai a fare una manovra per girare la barca di centoottanta gradi e presentarmi con la prua verso il mare. Da terra iniziarono a urlare di non farlo e di affiancarmi prua verso terra come le altre due barche. Seguendo il loro consiglio evitai di fare la manovra e ci affiancammo dolcemente alla barca in ferro. Nicoletta gettò le cime d'ormeggio che fissarono su dei grossi tronchi a terra proprio mentre una folata di vento mi investì la faccia. Confuso mi guardai intorno per capire come mai il vento avesse girato e osservando le acque del fiume mi accorsi che la corrente aveva girato. Da terra si agitarono maggiormente e mi chiesero altre cime grosse per completare rapidamente l'ormeggio visto che il Rio aveva iniziato a vomitare in mare l'eccesso di acqua. In pochi minuti JANCRIS aveva sei cime che la tenevano strettamente bloccata e le marroni acque del fiume correvano veloci trascinando grossi tronchi d'alberi e intere isole di vegetazione compatta. In mezz'ora l'impeto delle acque faveva stridere le cime d'ormeggio che erano tese e dure come pezzi d'acciaio. A prua si erano incastrati alcuni rami e nel giro di pochi minuti se ne accumularono altri danto da diventare una vera e propria barriera di legno ammassata contro la barca. Con l'aiuto del vicino di barca, un biologo argentino, armati di mezzo marinaio, riuscimmo a smuovere l'ammasso di rami che forzava contro JANCRIS. Il molo che era all'altezza della coperta, in un'ora era un metro più sù e noi dovemmo lascare le cime d'ormeggio per assecondare tale escursione facendo attenzione a non commettere errori visto l'enorme forza in gioco. Il vento aumentò e superò i venticinque nodi mentre dal cielo plumbeo si rovesciò un'acqua torrenziale che durò un paio d'ore. Eravamo arrivati a Luis Correia da mezza giornata e non avevamo ancora avuto il tempo di scendere dalla barca per fare quattro passi. L'impatto con la straordinaria forza della natura che regna in questa parte del mondo e alla quale non eravamo abituati, fu assolutamente duro. Ogni cambio di marea, era un cambiamento radicale di vento e corrente, di equilibri raggiunti e di movimento della barca. Per raggiungere la strada asfaltata più vicina dovevamo percorrere un chilometro tra fango e pozzanghere, alte palme ed enormi alberi di mango. Ci sembrava di essere fuori luogo in un posto tanto inospitale e poco adatto ad una barca a vela. La temperatura non scendeva mai sotto i trenta gradi e l'umidità contribuiva a rendere l'aria pesante e ogni movimento del corpo ci faceva grondare di sudore. Con il trascorrere dei giorni però ci abituammo a sopportare quella temperatura e trovammo anche l'assetto perfetto con le cime che trattenevno JANCRIS dall'impeto delle acque. Ci abituammo anche alle frequenti piogge torrenziali che oscuravano il cielo e annullavano l'orizzonte come un muro d'acqua. Per raggiungere le botteghe della cittadina avevamo smesso di guardare a terra dove mettere i piedi per evitare di affondare nelle pozzanghere perchè indossavamo infraditO e non più scarpe da ginnastica che si inzuppavano subito. Iniziammo così ad aver tempo di osservare i tantissimi uccelli che volteggiavano nel cielo e scoprimmo numerose scimmiette brune dalla coda bianca che abitavano i giganteschi mango. Ridendo delle loro espressioni buffe, senza più imprecare a causa dei piedi bagnati. Dopo una settimana il tempo fu persino bello ed il sole illuminò le giornate tanto da permetterci di tirar fuori i vestiti umidi che iniziavano ad ammuffire e far arieggiare gli interni di JANCRIS che erano rimasti sigillati per lungo tempo. Organizzammo persino una gita con un'imbarcazione locale all'interno del Rio Parà, nel cuore del piccolo stato del Piaui dove scoprimmo una vegetazione senza pari macchiata da fiori coloratssimi che gareggiavano con le ali dei multicolori pappagalli che saettavano in stormi numerosissimi sopra le nostre teste. La barca rimase per tutta la giornata sotto la custodia di Nelson, il giovane indio proprietario del terreno e del molo dove eravamo attraccati. Quell'attracco, in realtà, era nato per agevolare la sosta delle numerose imbarcazioni adibite alla redditizia pesca dei gamberi che si fermavano ad imbarcare il ghiaccio prodotto sotto casa di Nelson. Gli affari andavano bene finchè si ruppe la macchina del ghiaccio due anni prima. Da allora il giovane s'inventò l'Albatros Marina. Il posto dove eravamo e che poteva essere chiamato in vari modi, ma 'marina' ci parve una parola impropria. Da buon gestore di marina, Nelson aveva anche un tariffario con i prezzi in base alla lunghezza e, fortunatamente, questi erano proporzionati ai servizi offerti. Per JANCRIS, lunga 17 m. pagammo un equivalente di 5 dollari al giorno. Calcolando bene i tempi della mare lasciammo l'affascinante Luis Correia alle dieci del mattino, due settimane dopo il nostro arrivo. Anche in quel caso avevamo una piccola corrente a favore e l'impatto con le onde oceaniche non fu violento come temevamo grazie alla lieve brezza che soffiava da terra. La destinazione successiva era nell'isola di Sao Luis. Dovevamo navigare verso nord per 50 miglia per tirarci fuori dai bassifondi che si estendono al largo e che alzano una fastidiosa onda, e poi 250 miglia con rotta nord ovest fino a Punta dos mangos secos e infine altre 80 miglia insidiose, tra secche non segnalare e correnti traditrici influenzate dalla foce del grande Rio Parnaiba. Tutti i navigatori che conoscevano l'sola ci avevano detto che sarebbe stato opportuno navigare in flottiglia e ancorare vicino ad altre barche a vela se ne avessimo incontrate. La frase che più avevamo sentito convergeva sul fatto che quei luoghi di anno in anno diventano sempre più pericolosi a causa di disperati che cercano di sopravvivere rubando ai 'ricchi' che vivono in barca. Questi sono pericolosissimi non tanto per la rapina, piuttosto perchè non danno alcun valore alla vita altrui. Per rubare un orologio non si limitano a puntare un'arma e minacciare, prima ammazzano e poi rapinano. Sir Peter Blake ucciso dai 'ratos de agua' a Belem era l'esempio che concludeva l'avvertimento. La navigazione verso Sao Luis fu piacevole sebbene una fitta pioggia ci avesse accompagnato per buona parte del percorso, mentre le ultime 80 miglia, come temevamo, furono durissime a causa della continua concentrazione che richiedeva la navigazione. Ormai la pioggia faceva parte del panorama. Cercavamo di non pensare a quanto sarebbe stato più bello navigare sotto il sole e quanto ne avrebbero guadagnato i paesaggi con i colori esaltanti che possedevano, anzichè essere velati e appiattiti dal grigiore. Più ci addentravamo nell'Amazzonia e più sentivamo il peso dell'umidità ed il fastidio di non poter aprire gli oblò della barca per far circolare un po' d'aria fresca. I disagi però erano sempre compensati da straordinarie apparizioni di paesaggi che regalavano visioni naturalistiche mozzafiato. Quella luce plumbea che in fotografia uccideva ogni tentativo di rappresentare un luogo, vista dal vivo convenimmo che era la degna cornice di quell'angolo di mondo e abbandonammo definitivamente l'idea di vedere nuovamente il sole splendere nel cielo azzurro. Seguendo le boe arruginite che segnalavano il canale d'ingresso all'ancoraggio, riuscimmo a calare l'àncora unendoci ad altre tre barche a vela battenti bandiera francese. Eravamo in dieci metri d'acqua tra l'Ilha do Medo e ponta da Espera, e finalmente potemmo rilassarci dopo dopo sessantacinque ore di navigazione. Il cielo coperto da basse nubi era diventato da prima dorato e poi infuocato riflettendo gli ultimi raggi di sole. Stormi di centinaia di uccelli chiassosi volavano verso la sicurezza dei loro rifugi,altri, più grandi, volteggiavano alti nel cielo senza un battito d'ali. Nicoletta e io, seduti nel pozzetto, osservavamo stregati da quell'ora magica che precede la notte il mondo circostante, avendo la piacevole sensazione di essere finalmente parte integrante di quell'armonia e non semplici spettatori. Una pioggerella calda e fina iniziò a picchiettare sulla nostra pelle abbronzata e noi non andammo a ripararci infastididi come facevamo prima, restammo fermi come se non piovesse a goderci l'Amazzonia selvaggia e inospitale, bellissima e magica. Alfredo Giacon

Per informazioni: jancrisjancris@hotmail.com